UN NUOVO PARADIGMA PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA RINNOVABILE

AGRICOLTURA COME OPPORTUNITÀ

Intervista con Stefano Masini, Responsabile Ambiente e Consumi COLDIRETTI

“Lo sviluppo del potenziale energetico dell’agricoltura italiana dipende da numerosi fattori, alcuni dei quali di ordine strutturale, legati alle caratteristiche territoriali del nostro paese e alle modalità di organizzazione aziendale tipiche dell’ordinamento agricolo italiano, altri, invece, legati a criticità che potrebbero essere superate attraverso opportune scelte di politica energetica”. Quello dell’agricoltura come opportunità per la produzione di energia rinnovabile è un tema interessante. Ne abbiamo parlato con Stefano Masini, Responsabile Ambiente e Consumi di COLDIRETTI.


Di agrienergie se ne parla da sempre però per alcuni sono ancora sconosciute. Di cosa si tratta e quali sono più precisamente?
Si tratta della possibilità, da parte delle imprese agricole, di produrre energia da fonti rinnovabili attraverso l’impiego di diverse tecnologie e materie prime. In ambito agricolo la maggiore potenzialità risiede nelle biomasse e cioè in prodotti e/o residui dell’attività agro-zootecnica che vengono usati per produrre biogas, energia elettrica e termica. Va comunque sottolineato che il ruolo predominate dell’impresa agricola resta quello legato alla produzione di alimenti e che la produzione energetica va inquadrata nell’ambito della cosiddetta multifunzionalità. La funzione energetica, pertanto, deve essere vista in un ottica di integrazione con quella alimentare, conservandone i metodi e senza mai sacrificare la sostenibilità ambientale e la tutela del territorio.

Attualmente qual è il loro peso nel sistema energetico italiano? E quali sono le aspettative per il futuro?
La quantificazione dell’attuale contributo energetico dell’agricoltura in ambito nazionale è difficile a causa della difformità delle fonti e delle modalità di presentazione dei dati da parte delle principali istituzioni di settore, che tendono ad aggregare il dato agricolo con quello di altri settori (es. rifiuti). Inoltre, spesso, alcune produzioni, seppure potenzialmente da fonte agricola, sono realizzate con materia prima importata. A questo si aggiunge una carenza generali di dati, a livello nazionale, nell’ambito della produzione di energia termica (settore particolarmente rilevante in ambito agricolo).
Per avere un quadro riassuntivo della situazione attuale, infatti, occorre far ricorso a fonti diverse: contributo al bilancio energetico nazionale delle rinnovabili agricole: 2,2% (fonte studio Coldiretti-Ceta - 2009); biogas (dati CRPA 2011): gli impianti “agricoli” sarebbero 521 per un totale di circa 550 MW istallati; biomasse (dati GSE 2008): 45 impianti per una potenza istallata di 450 Mw (con produzione di 2746 Gwh); fotovoltaico (dati GSE 2010): 300.000 impianti presso strutture agricole (per la maggior parte sotto i 200 Kw di potenza istallata, per un totale complessivo di circa 500 MW – fonte Fattorie del Sole).
In termini di prospettiva, lo scenario al 2020, secondo il Piano d’Azione Nazionale per le rinnovabili, prevede un contributo totale delle biomasse pari a 5,67 Mtep, di cui 5,25 Mtep dalle biomasse solide, 0,26 Mtep dal biogas e 0,15 dai bioliquidi.
Tuttavia, anche in questo caso non è facile distinguere, nell’ambito della stessa categoria energetica, la quota effettivamente attribuibile al settore agricolo. Secondo uno scenario Coldiretti-CETA effettuato nel 2009, la produzione di energia rinnovabile prodotta dall’agricoltura al 2020 potrebbe attestarsi complessivamente intorno ai 15,80 Mtep, per un contributo percentuale delle agroenergie al bilancio energetico nazionale al 2020 pari all’8%. Lo stesso scenario vede le emissioni di CO2 evitate pari a 26,37 Mt/annuo ed un impatto occupazionale pari a poco meno di 100.000 unità.
Rispetto a queste previsioni, va segnalato, tuttavia, che, in virtù della forte crescita riscontrata negli ultimi tempi in alcuni settori (primo tra tutti il biogas), è possibile che le citate stime vadano ritoccate al rialzo.

Quali sono gli elementi che ne rafforzano le potenzialità rispetto al passato?
Un elemento importante è senz’altro una diversa consapevolezza, da parte delle imprese agricole, rispetto alle problematiche energetiche (efficienza, risparmio, autosufficienza), ma anche una crescente sensibilità nei confronti di quello che, in definitiva, è un tema ambientale e che può rivelarsi un importante fattore di competitività rispetto all’evoluzione dei modelli di consumo di prodotti e servizi. I consumatori, infatti, cominciano a dimostrare più attenzione ed interesse nei confronti di produzioni ottenute con bassi impatti ambientali e con ridotte emissioni di processo. In questo senso, il successo di iniziative come quella dei mercati a Km0 rappresenta una testimonianza inequivocabile. A questo, ovviamente, nell’ambito del settore agricolo, deve aggiungersi anche la necessità di rintracciare, attraverso iniziative multifunzionali, occasioni di integrazione del reddito aziendale, in un momento in cui la crisi economica si fa sentire particolarmente.

Cosa impedisce uno sviluppo su larga scala delle colture energetiche?
Nell’ambito delle fonti rinnovabili esistono diverse modalità di produzione energetica ma, in relazione alle caratteristiche strutturali e territoriali dell’agricoltura italiana, va detto che la massima potenzialità si debba perseguire attraverso un uso intelligente delle risorse, senza creare condizioni di conflitto; ad esempio, tra colture alimentari e quelle energetiche e senza generare impatti negativi ad un ordinamento che già di per se risulta fragile ed esposto a numerosi fattori di criticità, specie sotto il profilo dell’erosione e cioè della perdità di suolo agricolo fertile ad opera di fattori naturali ed antropici (urbanizzazione).
Rispetto a ciò è evidente che in Italia si debba preferire l’impiego di biomasse residuali e cioè di materiali di scarto dell’attività agro-zootecnica orientata principalmente alla produzione alimentare, rispetto all’opzione di puntare alle cosiddette colture dedicate (ossia coltivate appositamente per produrre energia). Tuttavia, fatte ferme le dovute riserve sulla possibilità di sviluppo di coltivazioni energetiche in aree agricole di pregio o sulla diffusione di produzioni ad elevato consumo di risorse (prima tra tutte quella idrica), esistono alcuni spazi entro i quali anche le colture energetiche possono ritagliarsi un ruolo negli ordinamenti colturali nazionali. Sempre secondo lo studio Coldiretti/CETA, la superficie totale effettivamente da considerare in prospettiva per lo sviluppo di queste colture è stimabile (al 2020) in circa 70.000 ha destinati a biomasse combustibili e in circa 360.000 ha per la produzione di biocarburanti. Secondo questa stima, comunque, il totale della superficie agricola effettivamente disponibile per le colture energetiche non supera il mezzo milione di ettari in totale e non risulta, quindi, sufficiente per pensare ad uno sviluppo di filiere basate su colture energetiche su larga scala.

Gli ostacoli possono essere superati se ci fosse volontà politica per farlo, oltre cu un sistema di incentivi adeguato. Ma è così?
Lo sviluppo del potenziale energetico dell’agricoltura italiana dipende da numerosi fattori, alcuni dei quali di ordine strutturale, legati alle caratteristiche territoriali del nostro paese e alle modalità di organizzazione aziendale tipiche dell’ordinamento agricolo italiano, altri, invece, legati a criticità che potrebbero essere superate attraverso opportune scelte di politica energetica.
In particolare, si tratta di assicurare al sistema una maggiore stabilità normativa, introdurre semplificazioni autorizzative per i piccoli impianti, favorire l’accesso al credito e mettere a punto un sistema incentivante effettivamente orientato alla promozione e allo sviluppo della filiera energetica corta e del modello della generazione distribuita.

Infine, quali sono le vostre proposte che possono realisticamente dare impulso al settore?
Le interazioni tra fonti rinnovabili, agricoltura e territorio creano le condizioni di una “nuova” pianificazione energetica, almeno per quanto riguarda le fonti rinnovabili. Si tratta di credere realmente nella creazione di un nuovo modello energetico e di sostenerlo con scelte politiche durature. La sfida sta nel prendere definitivamente atto dell’importanza, in un territorio come quello italiano, del corretto dimensionamento degli impianti, delle tecnologie effettivamente percorribili e delle modalità di valutazione degli impatti ambientali, territoriali e sociali degli investimenti energetici.
In sintesi, gli incentivi e le semplificazioni dovrebbero essere coerenti la scelta di assicurare una predominanza al modello energetico distribuito (una rete di impianti di piccola e media taglia che producono energia in prossimità di dove questa viene consumata). Questo sulla delle maggiori garanzie in termini di sostenibilità territoriale, dell’esistenza di un tradizionale e consolidato know-how tecnologico italiano in questo ambito, e in ragione delle positive esternalità sociali legate alla creazione di indotti economici ed occupazionali a livello territoriale.
Per quanto riguarda specificatamente il ruolo agricolo in campo energetico, le recenti esperienze ci insegnano l’importanza di determinare puntuali criteri di bilanciamento in rapporto con le prioritarie esigenze di tutela dell’ambiente, del territorio e del paesaggio. In questo senso gli strumenti principali restano le procedure autorizzative e la differenziazione dei livelli di incentivazione.
Per quanto riguarda il sistema incentivante, questo dovrebbe, innanzitutto, essere effettivamente basato su standard di valutazione economica e ambientale trasparenti; avere un orizzonte a lungo termine; favorire l’efficienza energetica; considerare l’effettiva produttività ed efficienza delle tecnologie; essere accompagnato da un meccanismo di valutazione e di verifica degli oneri per la collettività. Il sistema in vigore, anche se attualmente oggetto di riforma, è stato, nel recente passato, caratterizzato, invece, da diversi elementi di criticità. Tra questi spicca, ad esempio, l’indifferenziazione effettuata nell’ambito del diritto di accesso alla tariffa omnicomprensiva, attuata parificando le biomasse agroforestali e i sottoprodotti agroindustriali alle frazioni organiche dei rifiuti urbani. Fino ad oggi, inoltre, non è stata sufficientemente premiata l’efficienza energetica ( ad esempio la cogenerazione di energia elettrica e termica) e non stata riconosciuta la maggiore sostenibilità economica e ambientale dell’impiego energetico delle biomasse di origine locale o provenienti da filiere corte.
Come già evidenziato, comunque, i principali ostacoli ancora da rimuovere risultano essere la mancanza di certezze sulla stabilità o sull’evoluzione degli incentivi (che si ripercuotono anche sulla difficoltà di accesso al credito). Persistono, inoltre, barriere allo sviluppo delle rinnovabili in campo agricolo per quanto riguarda l’eccessivo carico burocratico per gli impianti di piccola taglia (ma occorre fare attenzione a far si che la “semplificazione delle procedure autorizzative” non si presti ad essere strumentalizzata per indurre interventi con fini speculativi); le difficoltà di collegamento alla rete e la mancanza di una armonizzazione normativa, che continua a creare situazioni, spesso paradossali, di disparità di trattamento/interpretazione tra regione a regione (ma anche tra diverse province e comuni) .
Rispetto ai criteri di sostegno da riservare a filiere e tecniche di produzione energetica caratterizzate da alti livelli di efficienza energetica e di sostenibilità ambientale si sottolinea, quindi, l’importanza di premiare prioritariamente l’impiego della biomassa costituita da residui agricoli o zootecnici, la produzione di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole e la cogenerazione in impianti alimentati con biomasse solide combustibili.
Rispetto all’evoluzione tecnologica nel settore agroenergetico, che oggi consente un elevato livello di efficienza energetica ed ambientale, serve, tuttavia, un ulteriore sforzo nell’adattamento delle tecnologie e degli impianti alle dimensioni ed alle strutture delle realtà produttive agricole e zootecniche nazionali, costituite essenzialmente da imprese di dimensioni medie e piccole (ad esempio, nel comparto degli allevamenti, le aziende medio-piccole costituiscono oltre il 70 % del totale) che, potenzialmente, costituiscono la principale risorsa “quantitativa” e “qualitativa” per il raggiungimento degli obiettivi nazionali fissati al 2020.
Importante è anche sostenere lo sviluppo di sistemi e di tecniche complementari (come quelle per l’abbattimento dei carichi azotati a valle della produzione di biogas da reflui zootecnici) o innovative, quali la produzioni di biocarburanti di nuova generazione, alla scala territoriale consona e senza impiegare ogm, ecc.
Se ridisegnare la politica delle rinnovabili significa elaborare una nuova pianificazione territoriale, la differenziazione della tariffa incentivante e la definizione delle procedure autorizzative restano gli strumenti più importanti e vanno utilizzati con oculatezza e lungimiranza, rispondendo, in primis, alle esigenze di chi paga (il consumatore) e di chi opera e vive sul (e del) territorio (l’agricoltore).



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